L’Ancora

Devozioni in formato semplice

  • Autentica autenticità

    Compilazione

    [True Authenticity True Authenticity]

    Ho un problema con l’autenticità. So che può sembrare strano, come dire «odio i gattini», o il sole, o la felicità. Dopotutto, l’autenticità è un termine così bello, morbido e generico. Tutti la desiderano e tutti la amano. Cosa c’è che non va?

    Considerate questi meme sull’autenticità:

    Scegliendo di essere noi stessi nel modo più autentico e amorevole possibile, lasciamo una scia di magia ovunque andiamo.

    Non c’è niente di più bello del tuo autentico io.

    Le persone che sono fedeli al loro autentico io hanno trovato il segreto della felicità suprema.

    Come ho detto, è adorabile. Ma cosa significa davvero, autenticità? La nostra cultura dice che l’autenticità è “essere fedeli a se stessi”. Il che va bene se il tuo vero io è una bellissima principessa delle fiabe. Ma se fosse un rospo verrucoso? […]  Dovrei essere fedele al mio io che dice: “Dimentica tutto, tranne ciò che mi fa stare bene”? L’io che non conosce il pentimento, il disagio o un Dio crocifisso?

    Certo, posso essere fedele a questo io. Ma non lascerà una scia magica. Anche il mondo lo capisce. Ecco cosa dice davvero il mondo:

    Sii te stessa, purché quel sé non sia stressato, ansioso, spaventato o stanco.

    Sii reale, ma solo se filtrata.

    Sii bella, ma solo nei modi prescritti.

    Intraprendi un viaggio, ma non fare passi falsi e assicurati di andare dove vanno tutti gli altri.

    Sembra che, per quanto il mondo celebri l’autenticità, non sappia come trovare quella vera. Spesso più le persone sembrano autentiche, meno lo sono. Pensate all’utente di Instagram che passa un’eternità a scattare selfie «senza trucco», al ragazzo che mette a nudo la propria anima come tecnica di seduzione, o alla promotrice che vende lo shabby chic come marchio.

    C’è qualcosa di buono nel nostro desiderio di «autenticità». Siamo stanchi delle maschere e vogliamo essere sinceri. Ma cosa succede se l’«autenticità» è diventata solo un’altra maschera, un altro modo per nascondere i nostri peccati? Mentre il mondo mi dice di cercare la sua approvazione per il mio io autentico, il Vangelo mi dice di cercare il perdono di Gesù per i miei peccati imperdonabili. C’è una grande differenza.

    Ma quando comprendiamo questa differenza, si apre qualcosa di meraviglioso: la possibilità di smettere di recitare. Con Gesù posso smettere di fingere di essere buona; posso persino smettere di fingere di essere «autentica». Sono conosciuta e amata da qualcuno che non chiude un occhio sui miei peccati né li considera «il granello di sabbia che crea la perla». Sono amata nonostante quello che sono e, nella potenza di quella grazia, posso andare fuori nel mondo.

    Niente da dimostrare, niente da nascondere, niente da perdere. Riscattata, guarita, restaurata e perdonata: è molto meglio che essere «autentica». —Emma Scrivener1

    Un sacco di niente

    Avete mai mangiato una torta che era più glassa o fondente che torta vera e propria? Quando mi capita una torta del genere, di solito raschio via la copertura e mangio solo la torta. La parte superiore era comunque solo una copertura e io preferisco la parte sostanziosa e cioccolatosa della torta. Anche certi tipi di pane non mi piacciono: quelli che si sciolgono in bocca, come se fossero fatti di niente. Il punto è che, proprio come ci sono torte e tipi di pane che sono un gran niente, esiste un certo tipo di comunicazione che è fatta della stessa cosa.

    È il tipo di conversazione in cui facciamo nomi famosi per apparire migliori agli occhi degli altri, o in cui esageriamo i nostri successi o altre circostanze per apparire più attraenti agli altri. È dove proiettiamo un’immagine falsa che vogliamo che gli altri abbiano di noi.

    Quando non siamo autentici nella nostra comunicazione, sostituiamo alla sostanza un po’ di zucchero e panna, e c’è un limite a quanto si può sopportare. L’opposto di una comunicazione fumosa è quando riveliamo la realtà di chi siamo; è l’essere autentici nell’impressione che diamo e nell’immagine che ritraiamo.

    Nella Bibbia c’è una persona che sapeva bene cosa significasse essere autentici. Giovanni Battista era un uomo a cui non importava il modo in cui gli altri lo vedevano. Indossava pelli, mangiava insetti e miele e probabilmente non si radeva mai. Seguendo questo ragionamento, immagino che non abbia mai cercato di apparire agli occhi degli altri diverso da come era realmente.

    Una volta, quando la gente accorreva per vederlo, lui li salutò dicendo: «Razza di vipere! Chi vi ha insegnato a sfuggire all’ira imminente?» (Luca 3:7). Alcune di quelle persone potrebbero essere considerate l’equivalente dei moderni fan di un guru, eppure lui non addolcì il suo messaggio per renderlo più facile da digerire, né si esaltò quando gli fu chiesto se fosse il Cristo. Al contrario, affermò con franchezza: «Viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali» (Luca 3:16).

    Forse è per questo che così tanta gente andava a vederlo. Diceva sempre la verità ed era questo che gli faceva guadagnare la loro fiducia. Anche dopo tutte le sue dure parole, gli chiedevano: «Che cosa dobbiamo fare, allora?» (Luca 3:10).

    In una società traboccante di clamore pubblicitario, le persone che prendono posizione per la loro fede cristiana e le loro convinzioni, come Giovanni Battista, si distinguono. E noi siamo attratti dalle persone che non hanno paura di essere autentiche. Non sto suggerendo di indossare pelli e mangiare insetti per dimostrare qualcosa. (Se non è quello che Dio ti chiede di fare, allora è falso e non è affatto autentico). Si tratta piuttosto di avere il coraggio di essere la persona che Dio ha creato e di seguire la sua chiamata per la nostra vita, che si rifletterà naturalmente nel modo in cui ci presentiamo agli altri.

    Le persone che ammiro e che mi ispirano sono quelle che accettano con sincerità e coraggio ciò che Dio ha creato e non hanno paura di comunicarlo agli altri. Quando scegliamo di comunicare l’immagine che Dio ha di noi invece dell’immagine di noi stessi che potremmo essere tentati di creare a favore degli altri, troviamo l’autenticità nella sua forma più pura.

    Come coltiviamo questo tipo di autenticità nella nostra vita? Innanzitutto, trascorrendo del tempo con Dio. Quando trascorriamo del tempo con Dio e studiamo la sua Parola, ci preoccupiamo meno di ciò che gli altri pensano di noi e ci preoccupiamo di più di essere la persona che Dio vuole che siamo. Ci sforziamo di seguire l’esempio che Gesù ci ha dato di cosa significhi vivere una vita incentrata su Dio.

    Ho scoperto che quando trascorro del tempo con Lui, mi rivela cosa aveva in mente quando mi ha creato, quando mi ha messo dove mi ha messo e mi ha dato i doni e i talenti che mi ha dato. Mi mostra come essere e come agire man mano che mi avvicino a Lui.

    Come secondo punto, siate aperti. È naturale desiderare che le persone abbiano una buona opinione di noi. Può essere naturale desiderare di essere ammirati e amati, ma una versione inventata di chi siamo non sarà mai migliore di quella reale. Gesù ha parlato molto della verità (Giovanni 8:32) e, come suoi seguaci e portatori della sua immagine, siamo chiamati ad essere veri e autentici nella nostra fede, nelle nostre parole e nelle nostre azioni.

    Come ha affermato uno scrittore, «la vera autenticità, l’autentica autenticità, se vogliamo, non può basarsi su ciò che provate; altrimenti, cosa succederà quando domani inizierete a provare qualcosa di diverso? Un’autenticità radicata nella Bibbia deve concentrarsi sul vivere secondo ciò che è vero riguardo a Dio e a ciò che Dio ha fatto in voi e per voi attraverso Cristo».2Aaliyah Williams

    Cosa significa essere autentici

    Hai mai visto un ristorante cinese «autentico» il cui proprietario sia un tizio di nome Patrick O’Malley? Al giorno d’oggi è difficile trovare qualcosa di genuino e originale […] ed è altrettanto difficile definirlo.

    Indipendentemente da questo, l’autenticità è molto importante per Gesù. Nel dodicesimo capitolo di Luca, Lui disse: «Non puoi nascondere il tuo vero io per sempre; prima o poi verrai smascherato. Non puoi nasconderti dietro una maschera religiosa per sempre; prima o poi la maschera cadrà e il tuo vero volto sarà rivelato» (The Message, una parafrasi).

    Una delle mie difficoltà personali è […]  vivere semplicemente i versetti che ho sottolineato nella mia Bibbia. Sapete, quei bei versetti che mi danno conforto e rafforzano le mie preferenze. L’ultima volta che ho guardato la mia Bibbia, la sfida di Cristo di «vendi ciò che hai e dai il tuo denaro ai poveri» non era ancora sottolineata!

    Sapendo questo di me stesso, è facile lasciarsi prendere dal dubbio su cosa significhi essere un cristiano autentico. Significa che dovremmo essere dimostrazioni impeccabili di Gesù? Se è così, non ho alcuna speranza.

    Non si tratta di perfezione. Per fortuna, Dio ci assicura che no, il cristianesimo non richiede perfezione. Si tratta piuttosto di impegnarsi in un procedimento onesto per diventare più simili a Gesù Cristo. Se leggendo questo ti senti sfidato, probabilmente è un segno che abbracci l’autenticità.

    I cristiani autentici non fingono di essere perfetti, ma quando sbagliano lo ammettono prontamente e tornano in sintonia con Cristo. Comprendono la grazia di Dio e sono anche pronti a passare la sua grazia agli altri. Un cristiano autentico è una persona che si sforza sinceramente di essere «vera».

    Per raggiungere questo obiettivo, forse dovremmo adottare e ripetere regolarmente la preghiera del salmista: «Esaminami, o Dio, e conosci il mio cuore. Mettimi alla prova e conosci i miei pensieri. Vedi se c'è in me qualche via iniqua e guidami per la via eterna» (Salmi 139:23-24). Come seguace di Cristo, devo chiedermi: «Sono autentico? Sto vivendo una vita degna di essere imitata?»

    La società non è in cerca di una teoria spirituale. E nemmeno i nostri figli. Loro desiderano una personificazione di ciò che significa essere un autentico seguace di Gesù, qualcuno che possa dire: «Seguitemi mentre io cerco di seguire Gesù». —Laird Crump3

    Pubblicato originariamente sull’Ancora in inglese il 2 dicembre 2025.


    1 Emma Scrivener, “The Problem with Authenticity”, The Gospel Coalition, September 7, 2017, https://www.thegospelcoalition.org/article/the-problem-with-authenticity

    2 Kenneth Berding, “Authenticity”, The Good Book Blog, July 29, 2022, https://www.biola.edu/blogs/good-book-blog/2022/authenticity

    3 Laird Crump, “Understanding what it means to be authentic”, Focus on the Family (Canada),  https://www.focusonthefamily.ca/content/understanding-what-it-means-to-be-authentic

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L’Angolo dei Direttori

Studi biblici e articoli che edificano la fede

  • 1 Corinzi: capitolo 13 (versetti 1-13)

    [1 Corinthians: Chapter 13 (verses 1–13)]

    Nel capitolo 12 di 1 Corinzi, Paolo affronta le varietà dei doni spirituali e del servizio, sottolineando che è Dio a conferire questi doni ed è lo Spirito Santo a distribuire i doni a ciascun credente “per il bene comune” (1 Corinzi 12:4-7, 11). Molti commentatori ritengono che la frase finale del capitolo 12 dovesse essere il primo versetto del capitolo 13. Di conseguenza, inizieremo questo studio con 1 Corinzi 12:31.

    Voi, però, desiderate ardentemente i doni maggiori! Ora vi mostrerò una via, che è la via per eccellenza (1 Corinzi 12:31).

    Paolo termina questo capitolo incoraggiando i Corinzi a desiderare ardentemente i doni più grandi. Poi dichiara che mostrerà loro “una via per eccellenza” per vivere come parte del corpo di Cristo. In tutte le sue epistole Paolo parlò dell’importanza dell’amore tra i cristiani, che è il tema di 1 Corinzi 13 e viene spesso indicato come la superiorità o la preminenza dell’amore.

    Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo (1 Corinzi 13:1).

    Paolo aveva affrontato il dono di parlare in lingue nel capitolo precedente e lo ripropone qui a causa dell’eccessiva enfasi che alcuni credenti di Corinto stavano dando a questo dono. Qui si riferisce a esso come “lingue di uomini e di angeli”. Tuttavia, non c’è alcuna prova che Paolo credesse che fosse possibile parlare nelle “lingue degli angeli”, né questo è menzionato in nessun altro punto della Bibbia.

    Tuttavia, anche se si potesse parlare in tali lingue, un simile dono non sarebbe nulla senza l’amore. Paolo lo personalizzò dicendo che se lui parlasse tali lingue senza amore, non sarebbe altro che un “rame risonante o uno squillante cembalo”. L’affermazione di Paolo che il dono delle lingue, senza l’amore, sarebbe solo del rumore inutile, probabilmente sconvolse i lettori corinzi che si attribuivano importanza per il fatto di avere questo dono.

    Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla (1 Corinzi 13:2).

    Poi, Paolo parla della profezia, un dono che tiene in grande considerazione (1 Corinzi 14:1). Inizia presentando uno scenario ipotetico in cui possiede un dono di profezia così grande da poter conoscere tutti i misteri e tutta la conoscenza. Nessun profeta nella Bibbia ha mai posseduto una tale onniscienza. Tuttavia, Paolo sottolinea che, anche se conoscesse ogni segreto divino e ogni conoscenza, senza l’amore non sarebbe nulla.

    Paolo prosegue poi con un’affermazione simile riguardo alla fede, dicendo: “Se avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla”. Una persona può avere una fede che sposta i monti (Marco 11:23), ma non le giova a nulla senza l’amore.

    Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente (1 Corinzi 13:3).

    Poi Paolo passa a parlare di donazioni che comportano un sacrificio e fornisce chiarezza sul loro intento: “Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri”. Paolo presenta l’ipotetico scenario di dare via tutto ciò che possiede ai bisognosi. Tuttavia, conclude che un tale gesto di sacrificio non gli avrebbe fruttato nulla se non lo avesse fatto per amore.

    Poi Paolo immagina di poter dare il suo corpo perché sia bruciato, cosa che potrebbe riferirsi a una persecuzione religiosa in cui avrebbe dovuto rinunciare alla propria vita, o forse Paolo si riferiva alle prove e alle difficoltà che l’avevano quasi condotto alla morte. In questi scenari, Paolo aveva affrontato situazioni in cui avrebbe potuto fare cose incredibilmente vicine al sacrificio, distribuendo tutti i suoi beni o venendo bruciato sul rogo. Ma Paolo conclude che senza l’amore cristiano queste azioni non valgono nulla.

    Il commentatore biblico Leon Morris la mette in questi termini:

    Paolo dice che è possibile che una persona […] faccia questo enorme sacrificio senza amore. Potrebbe essere ispirata dalla dedizione a un grande ideale, o dall’orgoglio o cose simili. In questo caso, non ottiene nulla. […] È l’amore l’unica cosa necessaria. Nulla può supplire alla sua mancanza.1

    Gesù ha insegnato che “amare il prossimo come se stessi” è secondo solo all’amare il Signore con tutto il cuore, l’anima e la mente (Matteo 22:37-40). Il comandamento di amare gli altri è la seconda legge per importanza nelle Scritture, pertanto Paolo sosteneva che senza amore per il prossimo i doni spirituali non hanno alcun valore.

    Dopo aver sottolineato la preminenza dell’amore in relazione ai doni spirituali, nei quattro versetti successivi (1 Corinzi 13:4-7), Paolo sposta l’attenzione sulla natura di questo amore e sulle sue virtù, descrivendo i tipi di azioni che esso produce e ciò che l’amore fa e non fa.

    L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia di orgoglio… (1 Corinzi 13:4)

    Paolo affronta vari aspetti dell’amore cristiano, a partire dalla pazienza e dalla benevolenza, che sono frutti della presenza dello Spirito Santo nella vita dei cristiani (Galati 5:22-23).

    L’amore è paziente. La qualità della pazienza trasmette il senso di sopportazione e di autocontrollo. Dio è paziente, “lento all’ira e grande in bontà” (Numeri 14:18), e nella sua bontà fa in modo che il castigo venga mitigato (2 Pietro 3:9; Romani 2:4). La pazienza fa dunque parte della natura divina e i credenti dovrebbero trattare gli altri con pazienza a causa dell’amore che provano gli uni per gli altri. L’amore ci spinge a essere pazienti con gli altri perché ricordiamo quanto Dio è paziente con noi. L’amore risponde con pazienza agli altri e alle circostanze, invece di arrabbiarsi o agire senza riguardo per gli interessi degli altri (1 Tessalonicesi 5:14).

    L’amore… è benevolo. Il termine benevolenza si trova molte volte nelle epistole di Paolo, spesso nel senso che l’amore si dona con dolcezza al servizio degli altri (Colossesi 3:12; Galati 5:13-14). A volte può assumere la forma di un rimprovero attento e mirato a ottenere un buon risultato, di cui Paolo ha dato esempio trattando i Corinzi con gentilezza ma con fermezza. La benevolenza è un’espressione dell’amore mostratoci da Dio in Cristo (Efesini 2:7). Vediamo questa manifestazione d’amore unita al perdono e alla compassione in Efesini 4:32: “Siate invece benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo”.

    L’amore… non invidia. Questa è la prima delle otto azioni incompatibili con l’amore elencate da Paolo. L’invidia e la gelosia possono partire dall’ammirazione per i beni altrui, per poi trasformarsi in risentimento per ciò che hanno. L’invidia non riflette l’amore di Cristo, che rinunciò a tutto per il bene degli altri. L’amore non è invidioso né si risente per il successo o le fortune degli altri.

    L’amore… non si vanta. La parola tradotta come vantarsi in questo versetto è usata solo in questo caso nel Nuovo Testamento. Il significato può essere inteso come “darsi delle arie”. Si riferisce al parlare con eccessivo orgoglio dei propri successi, dei propri beni o delle proprie capacità per impressionare gli altri. L’amore è incompatibile con l’orgoglio e la vanagloria, perché l’amore cerca di donarsi, non di affermarsi o di promuovere il proprio avanzamento.

    L’amore… non si gonfia di orgoglio. Paolo parla di orgoglio nel senso di eccessiva sicurezza di sé. Sia l’Antico che il Nuovo Testamento condannano l’orgoglio perché sbagliato e peccaminoso. Quando ci si preoccupa per gli altri, non si è pieni di arroganza e di presunzione. Come scrisse Tommaso d’Aquino, “amare è volere il bene dell’altro”, il che significa anteporre gli altri e il loro benessere al proprio.

    [L’amore] non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male (1 Corinzi 13:5)

    Ciò che viene considerato sconveniente, o volgare, può variare da un Paese all’altro, ma alla base di un comportamento sconveniente c’è la mancanza di rispetto per le usanze e le maniere a cui gli altri si attengono. Quando si ignorano queste usanze, si mostra mancanza di rispetto per le persone, mentre essere rispettosi dimostra amore per loro. Tuttavia, l’amore non significa che un cristiano debba seguire la massa. Quando i credenti si trovano di fronte a una cultura o a delle usanze che sono in contraddizione con la loro fede, non è poco amorevole evitare di aderire a esse.

    L’amore… non cerca il proprio interesse. L’amore non mette al primo posto le proprie voglie, i propri bisogni e i propri desideri senza prendere in considerazione i bisogni degli altri. Una persona amorevole mette gli interessi degli altri al di sopra dei propri e cerca il bene degli altri. Naturalmente, questo non significa ignorare i propri bisogni. Nei Vangeli leggiamo che di tanto in tanto Gesù si allontanava dalla folla per allontanarsi dalla pressione della moltitudine o prendersi dei momenti di preghiera (Luca 5:16; 22:41).

    L’amore… non si inasprisce. Altre traduzioni bibliche traducono la parola inasprirsi come “irritarsi facilmente” o “arrabbiarsi facilmente”. Chi ama il prossimo normalmente non si arrabbia né si irrita per le azioni degli altri, ma è lento all’ira e paziente. Certo, negli Atti leggiamo che Paolo era turbato e “lo spirito gli s’inacerbiva dentro” quando vide gli idoli ad Atene (Atti 17:16), ma ciò avvenne in risposta al male, non per una preoccupazione egoistica per i propri diritti.

    L’amore… non addebita il male, o come si esprime la traduzione CEI, “non tiene conto del male ricevuto”. Chi ama gli altri non tiene un registro dettagliato delle offese subite. Come ha scritto un autore, “l’amore non condona il torto o il male, ma […] dimostra la sua disponibilità a perdonarlo, non tenendo un resoconto di ogni danno in vista di future ritorsioni”.2 L’amore perdona gli altri. Sulla croce, Gesù pregò: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Luca 23:34). Nel libro degli Atti, mentre veniva lapidato, Stefano pregò: “Signore, non imputare loro questo peccato” (Atti 7:60).

    …non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità (1 Corinzi 13:6).

    Nella sua descrizione dell’amore, Paolo contrappone l’ingiustizia e il male (che può essere tradotto come “iniquità, ingiustizia o danno”) alla verità. Nel farlo, si riferisce alla verità nel senso di “vivere secondo la verità”. La verità è al centro del cristianesimo, poiché Gesù ha detto: “Io sono… la verità” (Giovanni 14:6) e Paolo ha scritto: “Secondo la verità che è in Gesù” (Efesini 4:21). L’amore si rallegra della verità del Vangelo, di Dio e della sua Parola.

    L’amore… soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa (1 Corinzi 13:7).

    In questo versetto, Paolo fa quattro affermazioni positive su ciò che l’amore fa. Scrivendo che “l’amore sopporta ogni cosa”, esprime l’idea che l’amore sopporta molte offese e non smette di amare anche quando ci si trova di fronte alle difficoltà causate dagli altri, compresi i nemici (Luca 6:27). Si riferisce anche alla capacità dell’amore di sopportare le difficoltà per il bene di un’altra persona. Significa scegliere di sostenere qualcuno, anche nei momenti difficili. Questo aspetto dell’amore riguarda la perseveranza e la costanza di fronte alle difficoltà. Come abbiamo visto in precedenza, l’amore non cerca il proprio interesse (1 Corinzi 13:5), ma cerca il bene del prossimo (1 Corinzi 10:24) e, a tal fine, l’amore sopporta ogni cosa per gli altri.

    Crede ogni cosa. Questo aspetto dell’amore, tradotto anche come “confida sempre”, si riferisce al non perdere mai la fede o, secondo le parole di Agostino, al “vedere il lato migliore”. Significa dare alle persone il beneficio del dubbio, essere disposti a credere e a vedere il meglio negli altri, contribuendo a creare un’atmosfera di fede e fiducia. Come ha scritto qualcuno, “ciò non significa che l’amore sia credulone, ma che non pensa al peggio (come fa il mondo). Conserva la sua fede […] è sempre pronto a concedere il beneficio del dubbio”.3

    Spera ogni cosa. La speranza è una parte importante dell’amore e si basa sulla fede e sulla fiducia che Dio farà cooperare tutte le cose al bene di quelli che lo amano, indipendentemente dalle difficoltà che stanno affrontando (Romani 8:28). Tutti noi affrontiamo difficoltà e a volte fallimenti, che possono farci sentire scoraggiati o sconfitti. Ma la speranza dei credenti è la certezza, fondata sulla Parola di Dio, che Cristo ci custodirà per la sua gloria (1 Pietro 5:10; 2 Timoteo 4:18). Quando un credente cade, è Gesù che lo rialza e lo aiuta a stare in piedi (Romani 14:4). È Gesù che ha promesso di portare a compimento l’opera buona che ha iniziato nella nostra vita (Filippesi 1:6).

    Sopporta ogni cosa. L’amore persevera e non rinuncia mai alle persone. È facile amare qualcuno quando non introduce difficoltà, inconvenienti o sfide nella nostra vita. Ma il vero amore resiste sia nei momenti belli che in quelli brutti. Qui Paolo si concentra in particolare sulla necessità di perseverare nell’amore per gli altri. Come cristiani dovremmo vedere la profondità e la perseveranza dell’amore di Cristo come standard per il nostro (1 Giovanni 3:16).

    L’amore non verrà mai meno (1 Corinzi 13:8a).

    In questa terza e ultima sezione del capitolo, Paolo confronta la natura transitoria dei doni spirituali di cui si è parlato in precedenza con la stabilità e la superiorità dell’amore cristiano. “questo versetto Paolo inizia affermando che l’amore non viene mai meno (in altre traduzioni viene reso anche come amore che non avrà mai fine). Indica che chi si impegna nell’amore cristiano condivide l’amore di Dio, che continuerà nell’eternità.

    Le profezie verranno abolite; le lingue cesseranno e la conoscenza verrà abolita, poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo (1 Corinzi 13:8b-9)

    Poi Paolo dice che tre doni spirituali — profezie, lingue e conoscenza (1 Corinzi 12:8-10) — sono temporanei. Questi doni non continueranno nell’eternità come l’amore. Inoltre, non forniscono una conoscenza o una comprensione completa, poiché i credenti “conoscono solo in parte” e “profetizzano in parte”. La profezia, le lingue e la conoscenza sono doni dello Spirito Santo e ciò li rende preziosi per la Chiesa, ma hanno una natura temporanea e parziale.

    …ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte sarà abolito (1 Corinzi 13:10).

    La conoscenza imperfetta che i credenti possono ricevere attraverso i doni di profezia, lingue e conoscenza scomparirà “quando la perfezione sarà venuta”. Quando Cristo tornerà, alla luce della presenza di Dio non ci sarà più bisogno di profezie, lingue o conoscenza limitata. Tutti questi doni sono solo anticipazioni della perfezione che verrà.

    Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino (1 Corinzi 13:11).

    Paolo fa un parallelismo con la crescita di un bambino in un adulto. Da bambino parlava, pensava e ragionava come un bambino. Ma quando è cresciuto ed è maturato, si è lasciato alle spalle le abitudini dell’infanzia. I limiti dei doni di profezia, lingue e conoscenza possono essere paragonati a cose infantili rispetto alla completezza che verrà.

    Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto (1 Corinzi 13:12).

    All’epoca di Paolo, Corinto era nota per gli specchi che venivano fabbricati in città e forse è per questo che usò questa analogia. Gli specchi antichi erano fatti di un metallo lucido (come l’ottone), che rendeva il riflesso “oscuro”, o confuso. Vedere confusamente nello specchio indica una visione limitata. La nostra conoscenza di Dio è in qualche modo velata; attualmente non possiamo vederlo nella sua gloria a causa dei nostri limiti umani e dei nostri peccati, ma nel mondo a venire i credenti saranno redenti dal peccato e dai suoi effetti.

    Quando vedremo Cristo faccia a faccia, avremo un incontro diretto con Dio. In cielo conosceremo Dio da vicino e personalmente, così come siamo pienamente conosciuti da Lui. Come ha detto un commentatore:

    Paolo paragona l’immagine indiretta e imperfetta che vediamo nello specchio (la nostra esperienza attuale in questa epoca) con la conoscenza diretta, completa e chiara di Dio e della sua verità che sperimenteremo (faccia a faccia) alla resurrezione e oltre.4

    Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l’amore (1 Corinzi 13:13).

    Paolo chiude questa parte della sua lettera con un’affermazione che probabilmente era familiare ai Corinzi perché lui aveva trascorso gran parte del suo ministero concentrandosi sull’importanza della fede, della speranza e dell’amore. Riferendosi a loro come a “queste tre cose”, Paolo evidenzia la fede, la speranza e l’amore come realtà cristiane preminenti e costanti, distinguendole efficacemente da tutto il resto. Questi tre elementi sono spesso collegati anche in altre parti del Nuovo Testamento.

    Memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo (1 Tessalonicesi 1:3 CEI).

    Noi ringraziamo Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, pregando sempre per voi, perché abbiamo sentito parlare della vostra fede in Cristo Gesù e dell’amore che avete per tutti i santi, a causa della speranza che vi è riservata nei cieli, della quale avete già sentito parlare mediante la predicazione della verità del vangelo (Colossesi 1:3-5).

    Paolo presenta la fede come il modo in cui i credenti sono uniti a Cristo e ricevono la salvezza; la fede rappresenta la nostra fiducia in Dio e il nostro impegno nei suoi confronti. Descrive la speranza in termini della salvezza che i credenti ricevono in cielo. La definizione biblica di speranza è “l’attesa sicura e fiduciosa di ricevere ciò che Dio ci ha promesso per il futuro”.5 La fede e la speranza sono strettamente correlate, in quanto rappresentano la fede e la fiducia in Dio e l’attesa sicura dell’adempimento delle sue promesse per il nostro futuro nel suo regno.

    Se Paolo ha presentato l’amore cristiano all’interno di una trilogia con la fede e la speranza, ha poi proceduto a elevarlo a un livello ancora più alto definendolo “la più grande di esse”. L’amore continuerà nell’eternità, mentre la fede si trasformerà in visione quando vedremo Gesù faccia a faccia (2 Corinzi 5:7) e la speranza non continuerà quando la cosa sperata si sarà realizzata (Romani 8:24-25). Mentre la fede, la speranza e l’amore durano e sono al di sopra di tutti i doni spirituali, il più grande di questi è l’amore.


    1 Leon Morris, 1 Corinthians: An Introduction and Commentary, vol. 7, Tyndale New Testament Commentaries (InterVarsity Press, 1985), 160.

    2 Alan F. Johnson, 1 Corinthians, The IVP New Testament Commentary Series (IVP Academic, 2004), 251.

    3 Morris, 1 Corinthians, 161.

    4 Johnson, 1 Corinthians, 255.

    5 “What is the definition of hope?” GotQuestions.org, https://www.gotquestions.org/definition-of-hope.html.


    Pubblicato originariamente in inglese il 2 settembre 2025.

  • Nov 18 La vita di un discepolo, seconda parte: amare Dio con tutto il nostro essere
  • Nov 4 1 Corinzi: capitolo 12 (versetti 12-30)
  • Ott 21 La vita di un discepolo: introduzione
  • Ott 7 1 Corinzi: capitolo 12 (versetti 1-11)
  • Set 23 1 Corinzi: capitolo 11 (versetti 17-34)
  • Ago 26 1 Corinzi: capitolo 11 (versetti 2-16)
  • Lug 29 1 Corinzi: capitolo 10 (versetti 16-33)
  • Lug 22 1 Corinzi: capitolo 10 (versetti 1-15)
  • Lug 8 1 Corinzi: capitolo 9 (versetti 18-27)
   

Dottrine

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  • L´obiettivo principale della Famiglia Internazionale è il miglioramento della qualità di vita degli altri mediante la condivisione del messaggio vivificante dell´amore, della speranza e della salvezza che troviamo nella Parola di Dio. Crediamo che l´amore di Dio — applicato a livello pratico nella nostra vita quotidiana — sia la chiave per risolvere molti dei problemi della società, anche nel mondo complesso e frenetico di oggi. Impartendo la speranza e l´orientamento che troviamo negli insegnamenti della Bibbia, crediamo di poter contribuire alla costruzione di un mondo migliore — cambiando il mondo un cuore alla volta.

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